Fare consapevole
Fare non basta.
L’ecologia del fare
come salute del sistema.
Anche un cancro è efficace ed efficiente, ma non si interroga sulla salute del sistema, del corpo di cui fa parte. E spesso comincia senza produrre dolore, mentre una puntura di zanzara (esterna al corpo) dà più fastidio.
Su questo tema:
C’è anche un fare tossico, in fin dei conti anche un cancro si dà da fare: colonizza, mangia e alla fine distrugge l’organismo ma lo fa “bene”, nel senso: con perfetta efficienza ed efficacia. Solo che lo fa in modo de-generativo invece che generativo.
Troppe aziende sono passate da questo cannibalismo interno.
Non poche del Made in Italy.
Ahinoi se guardiamo tutti quei capannoni vuoti vediamo che, non sempre ma spesso, abbiamo saputo nascere generativi ma morire in quel cancro efficiente che sono le risposte prevedibili a contesti imprevisti.
Il fare che serve si interroga sempre sul sistema, sulla sua salute
Qui l’ecologia non è una metafora, usiamo questa parola in senso letterale: equilibri fluidi negli scambi di energia, materia e informazione.
È un concetto che non riguarda solo un bosco o un atollo, anche gli equilibri tra le persone: i compiti, gli stipendi, gli spazi, i tempi… questo equilibrio è ambientale, il clima di lavoro riguarda il nostro habitat, e riguarda lo scambio di energia materia e informazione con altri habitat (fornitori, mercato, stakeholder, competitor…): come lo percepiamo, interpretiamo, come interagiamo.
Il nostro lavoro può migliorare questo equilibrio ambientale o invece intossicarlo.
Il coach nell’accompagnamento si occuperà sempre della visione del sistema. Le singole tecniche possono essere importantissime, ma vengono dopo.
È un modo diverso di guardare le stesse cose che vedevamo prima:
- non si accontenta di vedere i meccanismi di causa-effetto elementari e di reagire in modo prevedibile
- è più attento alle reti di concause
- cerca di usare tutte le risorse individuali del sistema-azienda.
Orgoglio dell’umiltà
L’affiancamento non ha gerarchie, l’obiettivo è restare coi piedi per terra e sapersi reciprocamente ascoltare.
L’atteggiamento umile non è quello mortificato della testa bassa, umiltà è il contrario di umiliazione.
È un modo volitivo per svuotarsi e mettersi in ricezione.
Significa che non comanda nessuno: io non comando te, tu non comandi me e (soprattutto) nessuno confligge per comandare; è il punto di partenza.
L’umiltà volitiva è una dote rara ma preziosa. Pensate come sarebbe migliore il mondo se i nostri decisori ne avessero un po’: come deciderebbero meglio.
In quel modo di interagire le verità in tasca sono un ostacolo, le domande critiche sono una ricchezza.
Quindi evitiamo la competizione interna per stabilire chi comanda: smettiamo di pensare che serva a selezionare il più idoneo (come accadeva nei sistemi a bassa complessità): se si lavora per primeggiare si dimenticano gli scopi e le visioni, si intossicano le relazioni e alla fine si seleziona il più inadeguato a gestire un sistema complesso.
Cerchi un salvatore? noi non lo siamo
L’idea che qualcuno ti possa “salvare” nasconde un’idea tossica dell’aiuto: “siccome io ti voglio salvare, diventerò il tuo carnefice”.
Infatti c’è il rischio di dipendenze, di proiezioni dell’aiutante, di ferite sproporzionate all’orgoglio, alla dignità, o all’autostima, per non parlare della disabilitazione: così anche la sollecitudine apparentemente più generosa diventa vessatoria.
Dice una nota battuta “il maglione è quella cosa che si mette ai ragazzini quando la mamma ha freddo”. Da noi sicuramente non vuoi trovare una mamma che ti metta il maglione, nemmeno se fosse davvero freddo: non è una questione di termometro, è una questione di relazione.
È controproducente un aiutante compiaciuto che sta sopra e un aiutato bisognoso che sta sotto, socialmente e psicologicamente. E anche il contrario: è controproducente quando tu stai sopra perché sei quello che paga, e il consulente deve dirti solo quello che vuoi sentire.
No, la consulenza che funziona dà sempre “fastidio”, perché perturba gli equilibri e aiuta ad uscire dalle comfort zone. Se ne esce solo con un’idea reciproca e solidale di supporto, ci si “salva” a vicenda.
La questione ci tocca quando ci facciamo aiutare dai tecnici: un medico, un avvocato, un informatico… e anche un consulente. Che non è un salvatore: l’unico tuo vero magico salvatore lo conosci bene, lo vedi nello specchio ogni mattina. Noi se mai possiamo dargli una mano, facilitandolo nel percorso che lui ha già deciso di fare.
Quando la soluzione diventa il problema
Capita spesso e forse sarà capitato anche a te. Qualche tecnico propone una soluzione che, invece di risolvere i guai, li aumenta: spreco di soldi, tempo, stress, nervi e occasioni.
Si dà la colpa al professionista e a chi lo ha reclutato, non al criterio con cui si è descritto il bisogno da risolvere.
Le soluzioni diventano un problema quando rispondono a domande mal poste. Ne parliamo anche qui.
Avvocati, informatici, meccanici, giuslavoristi,… e anche coach: ci sono due modi di lavorare.
Uno è l’approccio disabilitante, che inibisce il self-help: affidati a me, io descrivo il tuo problema dall’alto delle mie lauree e di tutti i libri che ho letto, e con quella mia descrizione del tuo problema ti venderò le mie soluzioni: tu delegami e basta, tanto non puoi saperne niente.
Nientemeno che Ivan Illich ci metteva in guardia da questi “esperti di troppo”.
Alla fine ti lasciano espropriato della cosa più importante, la tua percezione della tua situazione: lo stress cognitivo ti affaticherebbe, ma ti accompagnerebbe a una visione nuova del presunto problema, delle concause e delle prospettive.
Infatti spesso ricevi soluzioni giuste per il problema sbagliato: questioni diverse da quelle che senti, “problemi” più standardizzati e simili a quelli di tutti gli altri. Intanto forse continui a pagare delle fee senza neanche capire bene per cosa.
Come il problema diventa soluzione
Che i vincoli possono diventare opportunità è diventato un mantra. È una frase fatta, è giusta ma la puoi usare anche come morfina per il moribondo.
Allora diciamolo, è vero che ogni problema nasconde sempre qualche soluzione (così come ogni soluzione nasconde sempre qualche problema), ma se vuoi sapere come ne esci devi considerare due cose: il livello di urgenza e la capacità di interpretarlo nella sua complessità.
Certo, se guardi la storia di tante aziende le più grandi opportunità sono state originate da problemi; ma prova a dirlo a qualcuno nei momenti più incasinati.
È come dire a uno che grida aiuto disperato tra le onde che è stupido annegare perché nuotare è facile e fa anche dimagrire.
No, prima il salvagente, che non è la soluzione sistemica ma è la cosa urgente.
L’urgenza è un clima da amministrare con molta oculatezza, qui diciamo che costa tanto e rende poco.
Lo stato di perenne emergenza alza l’adrenalina ma distrugge nervi, portafoglio e capacità progettuale.
Dunque non puoi continuare ad annaspare per ricevere ogni volta un salvagente.
Per imparare a nuotare è meglio farlo con almeno un po’ di calma, dove si tocca, con qualcuno di cui ti fidi; idem per imparare dalle perturbazioni di un sistema complesso.
Il professionista abilitante condivide la tua descrizione, decide insieme a te, è contento di formare il personale interno.
Distinguere tra chi ti abìlita e chi ti disabìlita non è difficile, hai un indicatore abbastanza evidente.
Ti disabilita chi cerca di creare una dipendenza: non potrete più fare a meno di me. Invece ti abilita chi insegna alla tua azienda a fare a meno del suo aiuto.
Con noi va così: la tua impresa è generativa quando Generativa se ne va. Prima se ne va, più siamo bravi.
Ci sono altri mestieri che nella digital transformation diventano indispensabili, ma quelli è meglio che li internalizzi o li implementi con partnership durature.
Lavoriamo anche su questo in consulenze, affiancamenti, allenamenti, simulazioni, focus group…
Assaggia una collaborazione breve e verifica se Generativa può servirti a portare a galla la soluzione che si nasconde nel tuo problema.
immagine di copertina: “Tentoonstelling Kinetische Plastiek Am. beeldhouwer Alexander Calder in Stedelij” foto di Eric Koch / Anefo è contrassegnata con CC0 1.0.