In questo periodo di pausa dalle attività quotidiane ho riflettuto su una delle parole che ricorrono con maggiore frequenza nella mia vita lavorativa e privata negli ultimi tempi: ‘purpose’.
Oggi sia gli individui che le organizzazioni, sono alla ricerca incessante di un ‘purpose’.
E’ difficile rendere in italiano la traduzione di questa parola inglese che racchiude in sé molte valenze: la visione di un futuro possibile, una percezione identitaria e i valori che guidano la rotta. Potremmo optare per la parola ‘scopo’ in lingua italiana, ma non rende giustizia di tutte le implicazioni del vocabolo inglese.
Quando una parola diventa ricorrente? Forse quando diventa sintomo di una mancanza?
Il ‘purpose’ questo sconosciuto e proprio per questo motivo tanto agognato?
La vita che conduciamo oggi nelle società occidentali ha posto l’individuo al centro, ha acceso i riflettori su un progetto di liberazione dell’individuo, ma questo ci ha reso forse più felici o almeno più sereni? Spesso l’espressione piena del nostro potenziale disconnessa dal resto del mondo, ha lasciato le nostre vite vuote e solitarie.
A giudicare dalle persone che incontro ogni giorno, sembra che la felicità spesso non risponda all’appello.
Mi ritorna in mente una famosa frase di F.Nietzsche ‘Se hai un perché puoi trovare un come’, ma se non hai un perché che cosa succede?
Il punto fondamentale è dove poniamo l’accento per individuare questo ‘perché’, questo ‘scopo’, questo ‘purpose’. Il tirannico io individuale necessita di un aggiornamento.
La violenza degli eventi climatici, la degenerazione progressiva delle relazioni, lo stato di incertezza e di ambiguità che ci circondano, evidenziano ogni giorno di più l’ineluttabilità del ‘campo’ nel quale siamo immersi, l’inevitabilità della connessione di ognuno di noi con tutto il resto dell’esistente, con gli altri, con la natura.
Ogni tentativo di definire la nostra identità al di fuori di una connessione sistemica con ciò che ci circonda è fallace e foriera di insoddisfazione.
Senza abitare lo spazio della relazione che ci connette indistruttibilmente con tutto ciò che ci circonda mi pare impossibile trovare una dimensione di scopo autentico, nulla può darci profondo significato e finiamo in uno stato di tristezza. Più ci emancipiamo dai legami: con gli altri, con il territorio che abitiamo, con la natura, con tutto ciò che ‘è’ più diventiamo vittime delle nostre rappresentazioni che sono spesso distorte e che non ci conducono alla felicità.
E’ giunto il tempo della cura, della profondità, della gentilezza, del rispetto, dell’ascolto.