Abbiamo chiesto alle persone di Generativa di contribuire, dalla loro prospettiva di osservazione, a descrivere il viaggio nella complessità, il ruolo odierno dei leader e il significato attribuito all’essere architetti di possibilità.
Ecco l’intervista con la nostra Serenella Panaro, coach PCC ICF e Leadership developer.
1. Cosa vuol dire per te essere architetto di possibilità?
Vuol dire mantenere un’attitudine costruttiva, legata al realizzare, al rendere concreto il possibile, che a volte è solo parzialmente immaginabile se non invisibile ai nostri occhi.
Vuol dire agire da spazi interni (nostri e del cliente) da cui scaturisce la visione che va alimentata dalla fiducia. Tali luoghi interiori di creazione – che tutti abbiamo – vanno rintracciati e pienamente abitati, consentendoci l’attivazione di possibilità, legate al nostro essere e conseguentemente al nostro fare.
Occupandomi in particolare delle transizioni di carriera, molto all’essenza, ciò che vedo ostacolare il cambiamento è spesso la paura. Paura di chi siamo e di ciò che siamo chiamati a esprimere. Paura di conoscere e sperimentare altre “possibilità” di noi. Viviamo in tempi in cui questa è l’emozione dominante in seno alle organizzazioni e ai singoli individui. Se questa emozione, vera fucina di trasformazione, resta inconsapevole, sfumata, o commista confusamente ad altro ritenuto più digeribile, dichiarabile, ammissibile, molte opzioni rischiano di restare bloccate, cristallizzandoci e trattenendoci su strade già battute, sterili, dei sofferti vicoli ciechi.
Essere architetto di possibilità per me vuol anche dire questo: supportare le persone ad esprimersi pienamente, con allineamento ed integrità, facendolo da uno spazio che trasforma la sofferenza e la pressione in creatività.
2. Di quale tipo di leadership c’è bisogno in questo tempo?
Mai come ora abbiamo bisogno di Leader risonanti, e che cioè vivano e agiscano profondamente allineati con i propri valori e le proprie visioni. Solo quando questo accade, le scelte diventano coerenti, impattanti, coinvolgenti anche per altri.
Non può esistere una leadership trattenuta. La leadership reca con sé l’espressione. La leadership è generosa, non soggiace alla paura. Semmai è intrisa di coraggio, che tiene in conto la paura, ma l’affronta senza rinunciare alla conduzione, alla coerenza, alla responsabilità di essere un modello dell’essere ancor prima che del fare, per sé e anche per gli altri. Il coraggio risiede nell’andare a prendersi quella possibilità potenziale che ancora sembra solo intravedersi aldilà della nebbia, uscire allo scoperto, esprimersi e affrontare il rischio che oltre la nebbia possa esserci anche dell’altro oltre quanto immaginiamo.
3. Dal tuo osservatorio, di cosa hanno più bisogno le persone e le organizzazioni oggi?
Le persone e le organizzazioni hanno bisogno di linfa vitale, quello slancio che i francesi chiamano “élan vital” e che altre culture chiamano “forza generativa”. E tutto questo non può che partire dall’umano che siamo e che abita le organizzazioni. Il nuovo si genera partendo dal ri-conoscere ciò che già è.
Le persone nelle organizzazioni non si sentono viste, considerate davvero, e questo non le mette nelle migliori condizioni per esprimersi e potare valore. La paura tiene lo sguardo solo sul fuori, producendo devastanti effetti interni che depauperano, svuotano, sviliscono l’esistente. Credo che oggi lo sguardo e l’attenzione vada ri-allenato a volgersi anche all’interno, alle persone che già sono quel NOI, al potenziale di cambiamento e trasformazione che ciascuno, individualmente, può essere e contribuire a creare dentro un’organizzazione.
Per fare questo occorre anche garantire coerenza, concedendosi il rischio di riscoprirne gli inevitabili vantaggi.
4. Come vuoi chiudere questo incontro?
Mi fa piacere lasciare due stimoli diversi ma che ben spiegano utili componenti della Leadership.
Il primo ci riporta all’antica Roma. I comandanti romani, durante le battaglie erano spesso in prima linea, per dare prova di coraggio, dare l’esempio, spronare e reindirizzare gli uomini. Era rischiosissimo. La possibilità di sprecare risorse umane così preziose oggi sembrerebbe inaudito. Tutti concentrati come siamo sul “gestire”, “preservare”, “contenere”, “risparmiare” , “minimizzare il rischio”, “proteggersi dagli attacchi interni ed esterni il più possibile”, l’operato dei Romani sembra alieno. Così spudoratamente aperto, lineare, schietto.
Essere leader è scomodo. Scomoda lo status quo, scomoda la propria zona di confort. Eppure è quanto oggi più che mai serve. Essere d’esempio, saper cosa gli altri – che sono lì non per te , ma con te, provano. Se li chiami per nome (li ri-conosci davvero), se spartisci con loro anche la sorte, quel CON lo senti.
“Cesare vide che la situazione era critica […] tolto lo scudo ad un soldato delle ultime file […] avanzò in prima fila e chiamati per nome i centurioni, esortati gli altri soldati, ordinò di avanzare con le insegne allargando i manipoli, affinché potessero usare le spade. Con l’arrivo di Cesare ritornata la speranza nei soldati e ripresi d’animo […] desiderarono, davanti al proprio generale, di fare il proprio dovere con professionalità, e l’attacco nemico fu in parte respinto.»
Il secondo stimolo viene da una famosa frase di Sir Wiston Churchill. Credo possa chiarire alcune capacità utili oggi ad individui ed organizzazioni:
“Il coraggio è quello che ci vuole per alzarsi e parlare; il coraggio è anche quello che ci vuole per sedersi ed ascoltare.”
Il primo e vero ascolto ritengo sia rivolto al nostro interno, senza paura né nascondimento alcuno. Da lì, ogni visione o decisione prende forma, coerenza e diviene risonante, perché il fare è profondamente connesso all’essere, e il più grave ostacolo è il non prendere in considerazione entrambi.