Nulla è più permanente del cambiamento (Eraclito)
Durante la pausa natalizia, alle prese con varie letture e con il riordino dei cassetti dei miei armadi e di quelli della mia mente, ho trovato una fotografia che ha catturato subito la mia attenzione: un’immagine nitida, potente ed allo stesso tempo inquietante dell’uragano Isabel, con al centro, in bella vista, l’occhio del ciclone.
Ho cercato allora su Wikipedia ‘Occhio del ciclone’ ed ecco cosa ne è uscito:
‘L’occhio è una regione di quasi calma situata al centro di un ciclone tropicale. E’ circondato dall’ ‘eyewall’, un anello di temporali torreggianti, ove avvengono i fenomeni più forti. La pressione atmosferica più bassa, in un ciclone, viene registrata nell’occhio e può essere del 15% più bassa che al di fuori nella tempesta’
Mi sono posta una domanda: come mai si usa spesso l’espressione ‘sono nell’occhio del ciclone’ per indicare una situazione di elevata turbolenza quando nell’occhio del ciclone c’è ‘quasi calma’?
Poco dopo ho individuato la risposta: si è vero che nell’occhio del ciclone c’è quasi calma ma è sufficiente spostarsi di qualche metro per precipitare nel caos.
Davvero una potente metafora rappresentativa della situazione in cui oggi si trova l’umanità: turbolenza elevatissima, imprevedibilità, incertezza, velocità, cambiamenti a ciclo continuo; ancora una volta, la natura ci rappresenta con la sua spietata bellezza una realtà incontrovertibile.
Ci suggerisce anche un’altra prospettiva: se mi trovo nell’occhio del ciclone senza alcuna consapevolezza di esserci sono esposta al rischio di credere che tutto sia tranquillo, che i venti velocissimi circostanti non esistano e in questa illusione di quiete, posso espormi ad un grande pericolo in breve tempo.
Se invece decido di soggiornare nell’occhio del ciclone con consapevolezza posso contemplare la turbolenza senza precipitare nella turbolenza, per riuscirci devo riconoscere tuttavia con disincanto che il pericolo c’è, che tutto cambia, che tutto scorre veloce, che tutto è impermanente.
L’occhio del ciclone è a mio parere, una efficace metafora del centro del nostro essere.
Se decido di stare al centro del mio essere, in uno spazio di quiete con presenza consapevole, allora posso affrontare l’imprevedibile con discernimento, questa e’ la lezione di vita che la natura attraverso i fenomeni estremi ai quali ci sta esponendo, forse tenta di impartirci.
In sintesi: rallentare per osservare, diventare consapevoli della turbolenza sistemica senza alcuna rimozione o diniego, abbassare la pressione, allenare la presenza e la capacità di discernere, si rivelano strumenti formidabili per affrontare il mutevole ed incerto contesto nel quale oggi viviamo.
Un monito per un’umanità fragile e allo stesso tempo l’indicazione di una strada possibile per allenarci a restare nell’occhio del ciclone, senza precipitare nel ciclone.
Riordinando i cassetti dei miei armadi e le mie idee, osservando l’occhio del ciclone nella fotografia e cogliendone la suggestione metaforica, ho messo a fuoco che ci sono atteggiamenti e comportamenti che possono fare la differenza non soltanto rispetto alla possibilità di vivere o di prosperare ma anche rispetto alla possibilità di sopravvivere o di non riuscirci, quando le circostanze si fanno complesse.
Ci può essere di grande aiuto:
- accogliere le situazioni difficili
- evitare la rimozione, il diniego
- essere presenti, cioè intensamente consapevoli
- allentare la pressione
- saper aspettare, talvolta
- decidere con discernimento, senza affrettarsi in modo reattivo
Decisamente in controtendenza rispetto agli imperativi categorici della modernità, ma credo che valga la pena rifletterci sopra per non precipitare nel caos.
Accogli tutto, non respingere nulla
Porta nell’esperienza tutto te stesso
Impara a riposare nel pieno dell’attività
Coltiva una mente che non sa
(Frank Ostaseski)