Abbiamo chiesto alle persone di Generativa di contribuire, dalla loro prospettiva di osservazione, a descrivere il viaggio nella complessità, il ruolo odierno dei leader e il significato attribuito all’essere architetti di possibilità.
Ecco l’intervista con il nostro Mattia Rossi, coach PCC ICF e appassionato esploratore di futuri possibili.
1. Cosa vuol dire per te essere architetto di possibilità?
Vuol dire finalizzare al servizio di persone e organizzazioni i miei talenti naturali, che io identifico come quelli dell’esploratore. Io mi annoio in fretta, l’ordinario non accende il mio entusiasmo, sono costantemente attratto dal nuovo, da ciò che non è conosciuto o addirittura ancora non esiste. In questi che sono decenni di evoluzione epocale, sono sempre in viaggio tra uno scenario e l’altro di presenti alternativi e di futuri possibili, con lo scopo di dare il mio contributo alla costruzione del mondo nuovo.
Che cosa fa l’esploratore quando torna dai suoi viaggi? Racconta ciò che ha scoperto, e magari accompagna i più interessati (o i più motivati) alla scoperta dei nuovi territori. A quel punto, ogni spedizione assume una forma diversa e ottiene risultati specifici secondo le caratteristiche e gli interessi dei viaggiatori di volta in volta accompagnati. Le diverse potenzialità sono diventate realtà: ecco compiuto il lavoro dell’ “architetto di possibilità”.
2. Di quale tipo di leadership c’è bisogno in questo tempo?
Leader che sappiano stare in questo presente confuso ponendosi come punti di riferimento, anzi: di orientamento. Cioè che da un lato siano presenti, capaci di assumersi responsabilità concrete al servizio delle persone nell’immediato. E dall’altro sappiano prendere decisioni lungimiranti, in grado di condurre oltre la contingenza secondo una direzione consapevole.
Per fare ciò servono persone evolute, ben centrate su se stesse, capaci di suscitare e condividere visioni ispiranti e stimolanti. Una leadership che si nutre delle qualità della persona prima che delle sue competenze professionali.
3. Dal tuo osservatorio, di cosa hanno più bisogno le persone e le organizzazioni oggi?
Di umanità, e di lungimiranza. Le persone hanno bisogno di vedersi riconosciute nel loro essere persone, esseri umani. Ne hanno bisogno tutti, anche, anzi soprattutto coloro che non ne sono coscienti.
E le organizzazioni hanno bisogno di riconoscere il fatto di essere composte da esseri umani, con tutto ciò che ne consegue in termini di rapporti interpersonali, condivisione della visione e dello scopo, organizzazione dei tempi di lavoro, valorizzazione dei talenti specifici di ciascuno, eccetera.
E poi bisogna che tutti, persone e organizzazioni, lascino andare il presentismo e gli schemi lineari per aprirsi al pensiero sistemico, in orizzontale e in profondità: complessità e lungimiranza nelle scelte. Di complessità parlano tutti, ma quasi nessuno ha colto di che si tratta davvero.
4. Come vuoi chiudere questo incontro?
Con un paio di citazioni in cui mi riconosco da una vita e che mi paiono sintesi perfetta di quanto sopra. Una è del commediografo Terenzio, che in latino suona molto meglio che in italiano: “Homo sum, humani nihil a me alienum puto”. Cioè: di tutto ciò che ha a che fare con l’umano, nulla io considero estraneo a me.
L’altra è dell’alpinista Reinhold Messner: “La mia energia non sta nelle cose che ho fatto, ma nei progetti per il futuro”.