Abbiamo chiesto alle persone di Generativa di contribuire, dalla loro prospettiva di osservazione, a descrivere il viaggio nella complessità, il ruolo odierno dei leader e il significato attribuito all’essere architetti di possibilità.
Ecco l’intervista con la nostra Barbara Senerchia, coach PCC ICF, Psicologa del lavoro e delle organizzazioni ed HR professional, è sempre alla ricerca di nuovi sentieri ispiranti per esprimere il miglior se stesso possibile.
1. Cosa vuol dire per te essere architetto di possibilità?
È curioso perché essere architetto rappresenta proprio la possibilità di futuro che avevo immaginato ai tempi della scelta universitaria, insieme a Lingue Straniere e a Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni che ho poi scelto fondamentalmente affascinata e attratta dall’idea di poter contribuire al benessere e allo sviluppo delle persone.
Progettare e costruire percorsi e processi, tradurre e trasformare linguaggi e culture, contribuire ad accompagnare persone e organizzazioni verso nuove possibilità di evoluzione, sono solo alcune delle affinità tra quelle opzioni di futuro possibili che ho riscoperto nel tempo essere parte del mio modo di lavorare e che non erano poi così separate e distanti tra loro.
Mi sembra interessante ricordare l’etimologia greca del termine architetto, arché e técton, e tra i vari significati attribuiti, trovo comune che entrambi creiamo, plasmiamo, inventiamo e costruiamo assieme ai partner oscillando tra un “fare tecnico” legato all’esecuzione al processo e alle varie metodologie, e un “fare artistico” che porta ispirazione, creatività e contemplazione.
Proprio come un architetto infatti mi trovo ad essere tra gli attori principali della trasformazione in ogni campo intervenga. Come architetti di possibilità edifichiamo, tra l’essere e il fare, cogliamo i contributi pratici e teorici di molte altre discipline, scienze ed arti da cui attingiamo preziose suggestioni per far fiorire la bellezza dell’umanità. Pianifichiamo progettiamo e creiamo inoltre con un’attitudine umile di apprendimento continuo e scoperta.
Essere architetto di possibilità significa anche per me in particolare rispettare, ascoltare, osservare, prendermi cura e accompagnare verso ciò che in potenza è “costruibile” e comporre percorsi inediti coniugando vincoli organizzativi e sviluppo delle persone in una visione sistemica e inclusiva.
2. Di quale tipo di leadership c’è bisogno in questo tempo?
Ognuno dovrebbe poter essere quantomeno leader di se stesso, consapevole, centrato e responsabile, perché questo sia possibile serve una grande maturità psicologica, emotiva, affettiva e collettiva.
Più che mai credo ci sia bisogno di un tipo di leadership diffusa, abilitante e inclusiva, capace di tessere senso, di costruire relazioni di fiducia e autentiche, di navigare tra autonomia e interdipendenza, di sostenere progettualità.
Credo sia fondamentale e urgente rimettere al centro delle agende valori, visione e responsabilità dell’impatto che vogliamo avere nel mondo per costruire il futuro. È quindi indispensabile saper ascoltare, coinvolgere, valorizzare, saper prendersi cura delle persone e degli spazi di connessione nelle relazioni. Sapere creare e gestire contenitori per abilitare possibilità e potenzialità.
Serve sviluppare consapevolezza sistemica e saper tenere la giusta distanza: vicino con empatia, accoglienza e rispetto di differenze e vulnerabilità, e al contempo anche sufficientemente lontano, per lasciare spazio, per rendere possibile all’altro di esprimere se stesso e ai team di costruire valore per sé e per tutti gli stakeholder.
Non esistono leader se non ci sono follower e non ci sono member, dobbiamo sapere considerare il sistema nel suo complesso e nella sua complessità.
3. Dal tuo osservatorio, di cosa hanno più bisogno le persone e le organizzazioni oggi?
C’è un grande bisogno di sentirsi parte di una visione forte di futuro che invece si rischia di perdere anestetizzati nella confusione, nel senso di inadeguatezza, nella velocità e nell’oblio.
Serve ridefinire valori e priorità, saper collaborare, saper accompagnare a costruire progettualità e coltivare un senso del bene comune, di comunità, di collettività oltre ogni forma di individualismo.
Le persone e le organizzazioni non sono allenate a gestire emergenze così impattanti né tantomeno cambiamenti così dirompenti che rimettono in discussione tutto e che richiederebbero mindset, tempo e competenze per adattarsi.
Abbiamo sperimentato in questi mesi di lockdown cosa significa mancanza, sacrificio, privazione della libertà, angoscia, paura, morte e allo stesso tempo abbiamo avuto la possibilità di recuperare parti di noi stessi e delle nostre vite che avevamo perso o con cui forse non eravamo mai entrati in contatto prima così a lungo e nel profondo.
Ora serve forse proprio ridefinire il patto all’interno di ogni relazione, chiedersi il permesso senza dare per scontato nulla, riassegnare un significato condiviso alle zone di confine, di prossimità.
C’è ancora tanto disorientamento, non esistono soluzioni pronte e facili perché nulla è come prima, bisogna saper collaborare e lavorare in team anche multidisciplinari e a composizione variabile, essere flessibili e agili pronti a rivedere il piano di azione, avere una forte capacità progettuale, sistemica e per scenari possibili.
C’è bisogno di essere vigili, concentrati e focalizzati, di tradurre e riallineare il nostro fare con il nostro essere, di riconnetterci ai nostri valori, di apprendere passando velocemente da una logica lineare ad una circolare e multidisciplinare per affrontare la complessità.
Serve tanto coraggio per scegliere come agire e trasformare la paura che immobilizza. Serve chiarezza e trasparenza per liberare il potenziale. Serve prendersi cura delle preziose energie che abbiamo disponibili, recuperare i nuclei essenziali, ciò che davvero è importante e liberarsi di tutto ciò che è inerte che immobilizza o rallenta a partire dal singolo fino alle organizzazioni più complesse.
4. Come vuoi chiudere questo incontro?
Ho trovato grande ispirazione nelle preziose testimonianze di grande passione, umanità e maestria che Ezio Bosso ci ha donato, le sue parole proprio come le note composte e suonate ci arrivano direttamente al cuore. Ricordo in particolare collegate a questo incontro le seguenti:
“Diventare migliori è una scelta non una conseguenza, richiede un impegno forte con se stessi”
“Diffidiamo di chi dice che fa musica nuova, che fa le cose nuove! Noi siamo il risultato di ciò che amiamo, noi siamo il risultato di un amore, quindi quello che creiamo è il risultato di un percorso, quello che ci possiamo augurare è di lasciare qualcosa per quelli chi verranno dopo di noi e intanto fare sinceramente la nostra musica, la nostra parte”
“La musica è uno spazio condiviso, esiste solo in condivisione non puoi immaginare la musica senza uno scambio!”
Vorrei poter condividere anche questa poesia che mi è molto cara perché mi ricorda che lo sguardo che portiamo nel mondo può fare la differenza nell’aprire possibilità inesplorate.
IL DOPPIO SGUARDO di F. Marcoaldi
Quante volte si è detto
il mondo deperisce.
Quante volte si è detto
il mondo fa naufragio.
Dovremmo misurare meglio
le parole: ché il mondo
deperisce eppure ingrassa;
e mentre naufraga galleggia.
È questa la fatica
a cui siamo vocati: sostenere
un doppio sguardo, capace
di fissare in faccia la rovina
e assieme la lamina di sole
che accende ogni mattina.